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24/05/2012 | permalink
Narratore a chi?
Quando meno te l'aspetti ecco qualcosa che ti sorprende.
Fra le tante iniziative che ruotano attorno al mondo dell'enogastronomia, spesso pensate per riconoscere i meriti degli addetti ai lavori (cuochi, maitre, sommelier, vignaioli, produttori, giornalisti, gourmets. ecc.) ne è comparsa una che, in maniera abbastanza inconsueta, dedica l'attenzione a figure particolari, di seconda linea, un po’ fuori delle regole.
Ora, qualche giorno fa, in via informale vengo a sapere di essere stato scelto da una giuria qualificata per essere premiato come “narratore”.
"Narratore? E di che cosa? E per quale motivo? Narratore a chi?. Ma come si permette. Narratore sarà lei! " Questa è la prima cosa a cui istintivamente e ironicamente mi è venuta da pensare confidando in uno scherzo di qualche amico burlone.
L’indomani mi viene recapitata ufficialmente l’attribuzione del premio e, con un qualche imbarazzo, incomincio a pensare che la cosa è veramente seria e allora subito a chiedermi: -Ma a chi sarà venuto in mente questo premio?-
Letta la motivazione, ho incominciato piano piano a prendere la cosa sul serio e sono arrivato a convincermi che, quello che io faccio con semplicità e naturalezza (raccontare a chi è interessato cosa significa fare quel tipo di cucina che mia moglie Giuliana ha scelto di fare) qui al Gambero Rosso, poteva essere percepito come qualcosa di importante da chi interpreta l’andare al ristorante come una curiosità da soddisfare, per conoscere attraverso la cucina anche il contesto locale in cui essa viene fatta.
Per la verità, da quando mia moglie, vent’anni fa, decise di dedicarsi alla riscoperta dei vecchi mangiari dei nostri luoghi, mi ha subito coinvolto e preteso che collaborassi con lei nell’esplorazione, allora pionieristica, di un mondo che era scomparso perché sostituito dal benessere dilagante.
Fu come riaprire una miniera e scoprire un filone prezioso, almeno per quanto riguarda la nostra zona circoscritta all’alta valle del Savio, detta anche “Romagna-Toscana” per i trascorsi storici alle dipendenze di Firenze, con diretta parentela col Casentino e l’alto Tevere.
Il problema era, e in qualche caso lo è ancora, quello di spiegare alla clientela il come e il perché si stava facendo quel tipo di cucina e la cosa non era del tutto semplice avendo a che fare con “palati” ormai abituati al meglio. In pratica occorreva vincere la ritrosia di molti per i quali la cucina di un tempo non era più possibile, specie se confrontata con quella dell’abbondanza, chiara rivalsa sull’indigenza e sulla fame patita.
E’ stato così che, pressato da Giuliana, ho incominciato ad approfondire il tema attraverso letture di testi che riguardavano la cucina dei nostri luoghi, sia romagnola che toscana. Ho poi continuato con libri che trattavano di storia dell’alimentazione (in particolare Massimo Montanari e Piero Camporesi; di quest’ultimo fui allievo negli anni sessanta, avendolo avuto come professore di Italiano e Storia, ma allora non si occupava di storia dell’alimentazione per la quale invece oggi è considerato uno dei più grandi studiosi in materia a livello mondiale) tanto per ampliare lo sguardo sul mondo di una delle principali necessità che hanno sempre impegnato l’uomo: come e con cosa alimentarsi.
Per farla breve, quello che ho appreso, integrato anche dalle testimonianze e ricordi di anziani o da reminiscenze giovanili, mi ha portato a “capire” il rapporto stretto che sta fra l’alimentazione, le condizioni sociali, il territorio, i prodotti del luogo e la loro qualità, ecc, ma anche il valore intrinseco che sta anche nelle alimentazioni cosidette “povere” e questo ho cercato di comunicarlo, stimolato più dalla curiosità dei clienti che dal voler dimostrare il mio “sapere”.
Ora, il fatto di avere avuto spesso l’occasione di “raccontare”, probabilmente è stato ritenuto assai importante (e anch’io sono molto convinto che lo sia) per cui, col passare degli anni sono stato identificato in colui che racconta questa cucina e valorizza i prodotti con cui la facciamo (siamo forse stati i primi a renderci conto delle potenzialità espresse dal nostro territorio in termini di prodotti e di tipicità che costituiscono la vera identità storica del nostro mangiare e che oggi, guarda un po’, finalmente vediamo apprezzati e oggetto di sagre che richiamano gente e attenzione su di noi e sui nostri luoghi), fino ad arrivare all’altro giorno e a sentirmi dire che sono un “narratore”, per di più meritevole di essere premiato.
Allora cosa volete che vi dica. Va bene così. Mi sta bene. Anzi ormai sono proprio contento e orgoglioso e la definizione non mi dispiace per niente. Meglio narratore che.... parolaio.
Moreno Balzoni
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